11 Giu 2008

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Quattro chiaccere con un campione. Intervista a Giovanni Lavaggi, ex pilota di Formula Uno

Quattro chiaccere con un campione. Intervista a Giovanni Lavaggi, ex pilota di Formula Uno

Pilota di Formula Uno, ingegnere meccanico, di origine siciliana, Giovanni Lavaggi è un tipo che non si arrende mai, intraprende ogni nuova sfida, pronto a realizzare i suoi progetti.

147 gare disputate, 15 vittorie assolute, 11 pole position, 9 giri più veloci in gara, vincitore della 24 ore di Daytona nel 1995, della 1000 Km di Monza nel 2001, questo ed altro è Giovanni Lavaggi.
Parliamone direttamente con lui.
Giovanni, com’è nata la passione per i motori?
Se mi chiede come è nata in me la passione dei motori, devo risponderle che non lo so……perché praticamente ce l’ho nel DNA. Mio padre era anche lui pilota e sono nato respirando l’odore d’olio bruciato delle macchine da corsa di un tempo. Ho ancora ben nitide delle immagini di papà in gara anche se ero molto piccolo (lui smise di correre che avevo solo 4 anni). A 6 anni guidavo il camion, seduto sulle ginocchia dell’autista, a 10 anni guidavo la macchina (da solo) a 13 usavo le moto di grossa cilindrata di mio fratello, a 14 ho iniziato a correre in moto….e tante altre cose non posso raccontarle perché vorrei evitare che qualcuno cercasse d’emulare le tante pazzie che ho fatto da ragazzino. Ecco, vede, credo che il mio primo vagito sia stato piuttosto un bruumm!
Quanti ostacoli e quante difficoltà ha dovuto superare per diventare chi oggi è?
Un’infinità, tante che non si possono neanche contare e descrivere tutte. Le dirò le più importanti:
1)   essere vissuto fino a 18 anni in Sicilia, dove, nonostante le grandi tradizioni storiche, non esisteva, almeno ai miei tempi, un vivaio di piloti, né a livello kartistico, né a livello di scuderie e team;
2)   non avere mai avuto disponibilità finanziarie, ne mie né da parte dei miei genitori, che non hanno mai visto questa mia passione come una possibile attività professionale. Questo, però, se da un lato ha rappresentato un grosso handicap per la mia carriera sportiva, dall’altro mi ha dato maggiori soddisfazioni per i risultati conseguiti, perché frutto esclusivamente del mio talento e, soprattutto, della mia tenacia;
3)   aver cominciato a correre quando ero già “vecchio”. Questo punto è stretta conseguenza dei primi due, ma certamente aver fatto le prime gare, quando ero già ventiseienne, ha complicato ancora di più lo scenario. Tutti convenivano che guidavo bene e che avevo dei numeri, ma aggiungevano subito: “Sei già vecchio non potrai mai arrivare in Formula 1”. Così nessuno se l’è mai sentita di investire sul sottoscritto ed ancora una volta sono stato costretto a fare tutto da solo. In questi anni non ho fatto solo il pilota, ma anche il manager di me stesso, il mio addetto stampa, il mio preparatore atletico ed il mio maestro in pista. Insomma autodidatta ed autosufficiente in tutto….ma che fatica!!
Ci vuole descrivere le sue emozioni quando nel 1995 ha esordito in Formula Uno prendendo parte al Gp di Hockenheim?
Ero molto teso perché non avevo potuto provare la vettura prima della gara e temevo di fare una brutta figura; invece dopo le prime prove libere i miei tempi erano molto vicini a quelli del mio compagno di squadra e così stupii non solo me stesso, ma anche tutti gli addetti ai lavori. In effetti i ricordi delle emozioni più grandi sono legati piuttosto alle vittorie e ad alcuni episodi particolari. Prima e durante le gare sono talmente concentrato sul da farsi che reagisco un po’ come un automa, in modo freddo e calcolatore.
Per quanto riguarda la Formula 1, Le dirò che i ricordi più intensi sono legati a due episodi particolari. Il primo risale al 1992 quando, come collaudatore della March, partecipai alle mie prime prove ufficiali all’Estoril. In quell’occasione mi trovai in pista con il grande Senna; mi passò sul rettilineo dei box ed io riuscii a stargli dietro per quasi un giro….ero felice come un bambino.
La seconda grande emozione nel ’96 quando correvo con Minardi. A Spa-Francorchamps mi dissi che avrei potuto e dovuto fare la famosa curva del Radjon in 6ª piena, ed in prove ufficiali, con le gomme nuove, ci riuscì due volte. Dalla telemetria vedemmo poi che ero uscito da quella curva a 270 Km/h, con 10 Km/h in più del mio compagno di squadra, ma il cuore mi era sembrato scoppiare in gola durante quei giri!
147 gare disputate: ne ricorda in modo particolare una?
Le ricordo tutte: quelle che ho vinto, quelle perse, le prestazioni egregie, ma anche gli errori (pochi). Naturalmente i successi più importanti rimangono maggiormente impressi nella memoria, in particolare ricordo la vittoria alla 24h di Daytona (’95) e quella alla 1000Km di Monza (2001), anche perché, pur avendo corso insieme ad altri piloti, dati alla mano, ne sono stato il principale artefice.
Nel 1998 Giovanni Lavaggi intraprende una nuova sfida: la direzione tecnica di un nuovo Team che prende parte al Campionato del Mondo Sport-Prototipi con una Ferrari 333 SP. Quando e perché ha deciso di cominciare questa nuova avventura?
Dopo aver corso in Formula 1, ogni altra categoria sembra di scarso interesse. Inoltre all’epoca avevo già 39 anni e riciclarmi su altre vetture non mi entusiasmava particolarmente. Così, anche su insistenza degli sponsor che mi avevano sostenuto fino alla Formula 1, ho cercato nuovi stimoli coniugando le mie competenze di pilota con quelle di manager (per molti anni avevo lavorato come consulente in direzione aziendale) e di ingegnere. Così ho avviato una nuova struttura, un team del quale, dopo un paio d’anni d’assestamento, ho assunto anche la direzione tecnica….e devo dire con grandi risultati e soddisfazioni.
Attualmente sta lavorando ad un altro importane progetto: una nuova vettura progettata interamente da Lei. Ce ne vuole parlare?
Questa è un’altra delle mie follie, spero l’ultima. Sin da piccolo ero affascinato dagli uomini che avevano scritto le più belle pagine dello sport automobilistico.
La  storia ha conosciuto diversi esempi di questi protagonisti che hanno dato impulso allo sviluppo delle automobili, non soltanto nel mondo dello sport, ma anche nel mondo delle auto da strada. Mi riferisco a personaggi del calibro di Enzo Ferrari, Bruce McLaren, Jack Brabham, John Surtees e altri. All’epoca, era quasi normale disegnare, costruire e assemblare una macchina da corsa nel proprio garage, portarla alle gare e, con un ulteriore spirito imprenditoriale, era anche possibile lanciare delle versioni da strada che derivassero da questi modelli da corsa. La storia ci mostra il successo straordinario riscosso da quegli uomini che hanno saputo coniugare le qualità di pilota, costruttore e imprenditore.
Sfortunatamente, sembra che i tempi, da noi chiamati moderni, non permettano più l’esistenza di uomini di questo genere. L’evoluzione tecnica, la necessità di reperire enormi fondi economici per la realizzazione di tali programmi, oltre all’alta specializzazione dei regolamenti, hanno portato alla scomparsa di tali personaggi e bisogna tornare indietro di almeno trenta anni per ritrovarne le gesta (almeno con vetture ed in categorie di alto livello).
Ecco, l’idea di partecipare alle corse con una vettura disegnata e costruita da me è stata da sempre nella mia testa e la mia avventura rappresenta il ritorno al passato, il rilancio dell’eclettica personalità del pilota-costruttore.
Chissà? Può anche darsi che l’essere nato il 18 febbraio, lo stesso giorno di Enzo Ferrari, attraverso un misterioso influsso astrologico, abbia influenzato il mio destino e sostenga la mia passione.
Angela Allegria
15 gennaio 2007

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