20 Lug 2008

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Il coraggio delle donne di dire no alla mafia

Il coraggio delle donne di dire no alla mafia

Organizzato dalla facoltà di Lingue e Letterature straniere di Catania, dal mensile “Casablanca” e dall’Associazione Antimafia “Rita Atria”, con il patrocinio del Comitato Pari opportunità dell’Università di Catania, e la collaborazione di Isola Quassùd e Amnesty International, si è tenuto mercoledì 21 novembre presso l’ex Monastero dei Benedettini l’incontro dal titolo “Donne contro”.
Apertasi con il racconto dell’incontro fra Lucia Sardo e Felicia Bartolotta Impastato, la madre di Peppino Impastato, la serata ha conciliato storie di vita vissuta, di lotte, di ribellioni al femminile, con musica, teatro, arte.
“La mafia non si combatte con le pistole, ma con la cultura” diceva sempre Felicia Impastato, una donna minuta ma coraggiosa, una donna che “aveva ricevuto dal marito solo il cognome, nessuna altra cosa”, come ricorda l’attrice che ne “I centopassi” ne interpreta il ruolo.
Lucia Sardo racconta dell’incontro con mamma Felicia avvenuto sette anni fa, durante le riprese del film: “Non volevo conoscerla prima di essermi calata nel personaggio per paura di scimmiottarla. Quando sono stata sicura dell’essenza del ruolo da interpretare sono andata ad incontrarla.”
Nella sua casa a Cinisi, sempre aperta a tutti coloro che volessero visitarla, le pareti parlano di Peppino e anche sua madre parla di lui con “la sua normalità, la sua forza, la sua perseveranza”.
“Mi raccontò – continua la Sardo – che si svegliava alle cinque del mattino ma si alzava alle sette. Nelle due ore ripassava a mente gli accadimenti di Peppino perché aveva paura che il tempo le alterasse la memoria. E mi salutò dicendo “M’agghiutari, devi far conoscere la storia di mio figlio a tutto il mondo. Dovete darmi una mano ad avere giustizia”. Io mi sono ripromessa in quell’istante che avrei fatto conoscere la sua figura a tutto il mondo”.
Graziella Proto, direttore di Casablanca, parla della sua sfida alla mafia attraverso il giornale che, insieme a Riccardo Orioles, porta avanti quale reduce de “I siciliani” di Pippo Fava.
Storie di donne coraggiose sono state accennate da Emanuela Pistone, presidente di Isola Quassùd e da Simonetta Cormaci, di Amnesty International.
Ospite centrale della serata è stata Piera Aiello, collaboratrice di giustizia, cognata di Rita Atria.
Nella storia di Piera, raccontata da Graziella Proto, fondamentale è l’incontro con la famiglia  Atria. Piera, infatti, fin dall’età di quattordici anni era fidanzata con Nicola Atria, figlio di un pecoraio mafioso, col ruolo di paciere all’interno di Cosa Nostra.
Piera prima del matrimonio capisce che anche il fidanzato è membro di Cosa Nostra e decide di lasciarlo, ma è costretta a sposarlo dalla volontà di colui che divenne poi suo suocero.
Vito Atria muore tre giorni dopo le nozze di Piera e Nicola, ma per Piera non si tratta di una liberazione.
Nicola si da al traffico di stupefacenti, inoltre ha sempre un’idea fissa: vendicare suo padre.
Piera durante il matrimonio continua a ribellarsi al marito: non approvando le sue attività illegali, viene spesso picchiata per aver gettato via partite di droga che Nicola spacciava, addirittura è costretta da lui a camminare con armi da fuoco nascoste per proteggere lei e la figlia da rivendicazioni di altre cosche.
Nicola è sempre ossessionato dall’idea di vendicare il padre e si confida con Rita, la sorella più piccola, la quale in breve diventa una “bomba esplosiva” per via delle conoscenze confidatagli dal fratello sulla mafia di Partanna.
Anche Nicola viene assassinato nel 1991. Piera va dai Carabinieri e comincia a collaborare con la giustizia raccontando a Paolo Borsellino tutto quello che sa sugli assassini del marito.
Anche Rita, seppur proviene, a differenza di Piera, da una famiglia mafiosa, comincia la sua collaborazione con “Zio Paolo” e impara piano piano a fidarsi dello Stato nella persona del magistrato palermitano che muore in via Mariano D’Amelio nel 1992.
“Il 19 luglio apprendiamo della morte di zio Paolo dalla televisione. – racconta Piera Aiello, che vive dal 1991 fuori dalla Sicilia, in una località segreta – Rita afferma “è finito tutto”. Io non volevo credere a tale notizia. Il giorno dopo arrivano dei funzionari che comunicano che molti collaboratori di giustizia si stanno ritirando e ci chiedono cosa vogliamo fare. Io rispondo che se prima avevo un motivo per andare avanti ora ne avevo cento. Rita non risponde”.
Piera racconta del suicidio di Rita, suo punto di riferimento, con parole semplici, commuovendo il pubblico che in silenzio la ascolta.
Ella parla della mancanza di sensibilità del servizio centrale, il quale non potrà mai funzionare, come non è mai funzionato e spiega l’importanza della testimonianza, definendola un dovere da osservare a nostro rischio e pericolo.”
“Non possiamo aspettarci nulla dallo Stato. – conclude Piera Aiello – Posso solo dire grazie ai ragazzi della scorta, i  quali mi stanno vicini con umanità. Purtroppo questo Rita non l’ha avuto perché purtroppo veniva additata sempre come la figlia del boss”.
Nadia Furnari, presidente dell’Associazione Rita Atria, parla dell’amicizia nata fra lei, Piera a Rita Borsellino, anche lei presente sul palco dell’Auditorium Giancarlo De Carlo.
“A Rita Atria – spiega la Furnari – è stato negato il funerale in quanto suicida. La bara è stata portata dalle donne del digiuno. Il prete del cimitero ha esordito dicendo “Rita Atria, una ragazza che ha rovinato tante famiglie”. Il funerale è stato fatto dopo 5 anni dalla morte di Rita, nel cinquantesimo del matrimonio di Nino Caponnetto. In quell’occasione abbiamo rimesso la foto, che è stata tolta ancora una volta dalla madre di Rita, la quale ha sempre disapprovato la scelta della figlia”.
Rita Borsellino, sorella del giudice ucciso dalla mafia, parla di Piera come una donna che “ha reagito in ogni momento della sua vita, guardando al futuro con speranza di cambiamento”.
E con riferimento a Rita Atria aggiunge: “Rita non è sopravvissuta alla fatica della solitudine. Oggi questa solitudine non c’è più: fuori ho visto i ragazzi di Addiopizzo, i ragazzi delle scuole conoscono la sua storia. Il gesto di Rita è di disperazione e coraggio, non è un gesto vile, ma è stato dettato dal fatto che Paolo per lei era diventato tutto, era la speranza del futuro. Quando lui morì Rita venne privata del suo futuro”.

Angela Allegria

23 novembre 2007

In www.7magazine.it

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