8 Giu 2010

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Giusy

Faceva parte di una buona famiglia Giuseppina Di Natale, intesa non già nell’accezione di famiglia bene abbiente, ma nel termine più spiccatamente siciliano: gente di lavoratori onesti, dai sani principi morali e religiosi quanto basta; messa la domenica tutta la famiglia riunita nella chiesa parrocchiale; battesimi, prime comunioni e cresime nei giusti tempi e con tutto il cerimoniale completo, sala e foto a Villa Tasca.
Papà Giovanni, la signora Domenica Pace e tre figlie femmine: Giovanna, Maria Rosaria e la nostra Giuseppina. Niente eredi maschi. Il signor Giovanni era contento lo stesso. Studi di ragioneria, per la piccola di casa, completati in cinque anni con buon punteggio finale alla maturità e ricerca del primo impiego.
“Certo, che a picciridda criscìu bidduzza, signor Giovanni, comprimenti .Ora ci vuoli un bel lavoro di ragioniera e un bel marito e vossìa è a posto.”
Il papà di Giuseppina, Giovanni Di Natale, che di mestiere faceva l’autista, era contento dell’apprezzamento del vicino di casa, Gioacchino Di Bella, ex impiegato al Comune di Palermo, ma, in realtà, politicante di professione nel partito che negli anni Settanta stravinceva in tutta Italia e in particolar modo in Sicilia, la Democrazia Cristiana o più semplicemente DC.
Contento, un corno, conoscendo l’ipocrisia del Di Bella che il quel “bidduzza”, nascondeva e non troppo, sopite brame di chissà quali pretese. In quel, “ora ci vuole un bel lavoro”, u zu Giovanni sospettava le velate proposte del ex impiegato comunale che, grazie alle sue capacità di “galoppino”, o più gentilmente collaboratore dell’onorevole, aveva sistemato parecchie persone. A quale prezzo, però, lo sapevano tutti nel quartiere: o soldi o pagamento in natura.” “ A natura”, nel linguaggio antico, s’intendevano gli organi sessuali sia maschili che femminili, e da lì il pagamento “in natura” equivaleva a prestazioni sessuali, più o meno consenzienti, in cambio di favori. Giovanni Di Natale, salutò il vicino di casa senza troppo trasporto, cercando di nascondere tutta la sua irritazione nei confronti del politicante e tirò dritto per la sua strada.
Di Bella o non Di Bella, certamente, dopo tanti studi, per Giuseppina un lavoro andava trovato, altrimenti che aveva studiato a fare. A chi rivolgersi? Per Giovanna, la primo genita, niente scuola, ma subito a 18 anni un bel matrimonio con un giovane di 25 anni “sistemato” all’ Azienda municipale del gas. La seconda, Maria Rosaria,“bidduzza, ma niente in confronto a Giuseppina”, diceva Di Bella, e la cosa faceva girare le cosiddette a Giovanni Di Natale. Non era vero, Maria Rosaria era spiccicata a Giuseppina, la differenza era solo nell’altezza, nella pettinatura e in un fin troppo evidente difetto di pronunzia, che non aveva impedito a Sara di fidanzarsi e pensare seriamente al matrimonio con Rosario Di Pasqua, calciatore dilettante in attesa di un posto come giardiniere al comune. E poi Giuseppina , l’ultima, bella davvero, na stampa con la diva del momento, Laura Antonelli. Certo, ognuno ci vedeva la somiglianza che voleva, da Claudia Cardinale a Lisa Gastoni alla Antonelli, appunto.
Papà Giovanni e mamma Domenica lavoravano entrambi: Giovanni guidava il furgoncino che distribuiva i giornali in tutta l’Isola; ogni notte da Palermo a Ragusa, Siracusa e Catania; mamma Domenica come sarta in casa. Piccoli lavori, s’intende, ma sufficienti per aumentare gli introiti in casa Di Natale per potere sistemare le tre figliole in maniera dignitosa.
Ma Giovanni non sentiva il peso dei sacrifici: le tre bambine le aveva fatte assieme a Domenica, l’unico amore della sua vita.
Il lavoro per Giuseppina arrivò ben presto: segretaria presso l’Autoscuola La Mantia, la patente è già mia. Niente via traverse o raccomandazioni di sorta. Giusy, così preferiva farsi chiamare da anni dalle amiche e compagne di scuola, ma per papà rimaneva sempre: a nica Giuseppina.

Giusy, come la chiameremo da ora in poi, non era tipo da perder tempo. Era cresciuta in una famiglia, ma dai sani principi e i Di Natale non era gente che si perdevano in chiacchiere e sogni impossibili: gente concreta e di lavoratori che conosceva il valore e “gioia” del sacrificio.
Due passi nel centro storico e ecco l’incontro giusto al momento giusto.
“Vedo che state montando un’insegna con la scritta Autoscuola La Mantia. La patente è già mia. Cercate una segretaria? Sono diplomata ragioniera e in cerca di un lavoro di segreteria”.
L’aspirante titolare Salvatore La Mantia, la squadrò, e in un istante, oltre alla bellezza e la somiglianza impressionante con Laura Antonelli, notò in quella giovane di diciannove anni la tranquilla solidità di chi sa il fatto suo e intuì subito che era la persona che gli serviva. Assunta all’istante.
“ Stiamo completando i lavori e anche l’organico. Per me, la prossima settimana può venire a lavorare. Giovedì 21, sbanniamo, con la benedizione di padre Francesco. E’ invitata all’inaugurazione e porti il libretto di lavoro che da lunedì 25 passo tutto al consulente.”
Così, Giusy divenne la segretaria dell’Autoscuola La Mantia, la patente è già mia.
Arrivò l’insegnante di teoria, Giorgio De Rossi e l’istruttore Pietro Sanpietro. Organico al completo.
A Giorgio De Rossi e a Pietro Sanpietro importava ben poco del lavoro che stavano svolgendo in quel momento. Intendiamoci. Erano due ragazzi serissimi e avrebbero svolto il loro compito nel migliore dei modi, ma erano anche due studenti universitari e quei pochi soldi promessi da La Mantia, la patente è già mia, dovevano servire per non essere troppo di peso alla famiglia. Giorgio, stava per laurearsi da qui ad un anno in Ingegneria meccanica, mentre per Pietro Sanpietro la laurea in Pedagogia sarebbe arrivata in pieno Sessantotto, con le contestazioni, gli scioperi, Valle Giulia, Pci, Democrazia Proletaria, Lotta Continua e Che Guevara, Marcuse e Mario Capanna e l’inno per eccellenza del Sessantotto: Contessa di Paolo Pietrangeli e Pugni chiusi dei Ribelli con l’inconfondibile voce di Demetrio Stratos.
“ Signorina Giusy, ecco i miei due braccio destro: Giorgio De Rossi, insegnante di teoria e Pietro Sanpietro, giovane promessa degli istruttori d’Italia- disse Salvatore La Mantia. Fra breve ci sarà un concorso pubblico riservato agli istruttori di scuola guida, di età inferiore ai 30 anni, indetto dalla M.C.T.C. della Sicilia. I vincitori verranno assunti come impiegati regionali per fare gli esaminatori, ma solo per la guida. Degli esami di teoria se ne occuperanno gli attuali impiegati con il diploma di scuola media superiore. Pietro, perché non presenti la domanda, uno stipendio base di 300 milalire (uno stipendio da impiegato di banca; siamo nei primi anna Settanta, nda) e in più 5 milalire per ogni allievo esaminato. Meglio del mio stipendio”.
Ci voleva una gran pretesa a chiamare stipendio pagato a lezione: 200 lire a lezione e niente di più. Nè contributi Inps e assicurazione Inail e quant’altro di diritto a un qualsiasi lavoratore, anche se poi questo lavoratore ambisce all’insegnamento universitario o al giornalismo è un altro discorso. Stesso trattamento per Giorgio De Rossi, 30 mila lire al mese per un’ora di lezione al giorno, compreso il sabato.
Per Giusy, invece tutto in regola: 40 mila lire al mese e libretto di lavoro sulla scrivania del La Mantia. Il libretto della signorina Di Natale, come il masso manzoniano, rimase lì per cinque anni, fin quanto Giusy non decise di convolare a giuste nozze con il sergente maggiore dell’esercito, Carmine Gargiulo.
“ Chi facisti a selezione? Totò, sta picciotta u ne cosa pi a scuolaguida. “
Questo l’esordio-reazione della signora Rosalia Mannino, sposata La Mantia, sempre quello della patente è già mia.
“ Sbattisti u cucuzzuni. Chista se ne deve subito andare da dove è venuta. Il troppo è troppo. Se pensi di fare il galletto con i miei sacrifici, ti sbaglia di grosso. 5 milioni mi è costata a me e a mio fratello Pino questa autoscuola. Chiossà per quel picciotto, chi mi ha prestato quasi tutta la cifra: 4 milioni e trecento mila lire ed è tuo socio al 50 %, senza contare la mia quota. A tia un resta nenti e ti vai pavoneggiando ca si u patrone dell’ Autoscuola. Comunque la ragazza va via ri subito. La malafigura con mio patre e u zu Pinuzzu non ho intenzione di farla. Ora parlo cu papà e si decide. Per intanto è buono ca Pino e u zu Pinuzzu, nescifora, venghino a vedere sto scandalo”.

“Mamma mia- penso Giusy- chi vastata. Manco saluta e si presenta e, con due guardate, desume che io sia una ragazza leggera e chissà che rapporto ho o avrò quanto prima con suo marito. Pazienza le 40 mila lire promesse, mi servono, farò finta di niente. Se poi nei prossimi giorni la signora continua vuol dire che ne parlo con mamma e poi deciderò. Mi però sempre sta storia che sono bona e bella e tutti vedono solo questo”.
E arrivò l’attesa visita del signor Girolamo Mannino, detto don Mummino, padre della signora Rosalia Mannino in La Mantia e di Giuseppe Mannino, detto Pino, cazzola.
“ Buon giornio, io sarebbi il suocero di Totuccio, per servilla signorina mancipata Giusy. Don Mummino Mannino, fa puro poesia! Chistu allatu a mia è me figlio Pino, socio fondatore della spettabile autoscuola diretta dal signor Salvatore La Mantia, comequalmente mio genero.
La mia figliola Rosalia e mio figlio Pino, di proposito presente al cospetto suo allato a mia, come lei la vede, mi hanno addumannato di fare un sopralluogo a cotesto negozio addove si piglianu i patenti. Propria pi constatare la sua persona e i ru picciutti di me genero i maestri di patenti, signori De Rosso e Santopietro. Abbiamo già visto e costatato comequalmente e Pino mi acconsente nel giudizio, e saputo dalla informazione tutto quando di lei e della famiglia Di Natale e avessimo concluso ca lei di cca non la tocca nessuno e lei pò fari la patrona. Mia figlia Rosalia deve arristari a casa a cucire gli abiti. Quello è il suo mestiere .La decisione di mio genero Salvatore va approvata all’ unanime. Po’ stari cca ‘nzino alla vecchiaia. Si so matri a fici bon…bella e graziosa non deve pi forza essere bottanesca. Ai suoi ordigni siamo”.
Per i due picciutti De Rosso e Santopietro, pardon, De Rossi e Sanpietro non occorreva nessuna approvazione, essendo due maschi e difficile che poteva essere buttaneschi, concluse Mummino Mannino e salutò con rispetto la bella Giusy.
Il rione si mobilitò tutto per dare una mano alla nuova autoscuola. Nel solo primo mese boom di iscrizioni con più di 30 allievi, in maggioranza donne e quasi tutte signore. Giusy era diventata l’indiscussa padrona della autoscuola. La Mantia era contento e sperava al più presto di guadagnare i 4 milioni e 300 mila lire che avrebbe restituito al cognato Pino e diventare l’unico proprietario dell’attività. Per l’altra socia, cioè la moglie, niente da fare. Aveva giurato fedeltà in chiesa il giorno del matrimonio.
“Mi picciò, a viristivu che bona a segretaria? Che dite ci sta? Mi un sorriso a trentadue denti, o sunnu chiossà?E poi chi culu? Le gambe come sono? Cu sapi? Non viene mai con la gonna”.
“ Ma come vuoi che siano, Cosimo, la fine del mondo saranno. Beato cu sa marita!” Cosimo Lo Verso e Lorenzo Vitale, due neo iscritti, così iniziarono la conversazione e fecero amicizia, ma con Giusy niente da fare.
Intanto un giorno si presenta un signore vestito con giacca e cravatta e dall’aria di unu chi picciuli:
“ Sono Giuseppe Caruso, ma tutti mi chiamano Pino Caruso, preciso come l’attore. Solo che lui e dalla zona di via Roma, mi pare, mentre io sono nasciuto e pasciuto in via Sedia Volanti e ho una attività di importo e esporto di mobili originali dalla Brianza. Non dico per modestia: quattro magazzini pieni e un negozio di robba usata. Lo sa, mi serve per le tasse. Travaglio senza licenza, tranne quella del negozio di abiti di seconda mano e mi sto, anzi mi sono fatto i soldi.
Andando al dunque, mia cara signorina mi avrei prendere la patente. Le sembra strano, alla mia età. Che vuole non c’è stato mai il tempo materiale. Ora che mi sono arrisettato e al commercio mi aiuta mio figlio, mi voglio scapricciare con la macchina”.
Pino Caruso, padre di un giovanottone di nome Enrico e di Donatella e marito felice di Carolina Compagna. Nel giro di pochi giorni perse letteralmente la testa per Giuseppina Di Natale detta Giusy. Alla faccia del cognome della moglie, sposata a 17 anni e 5 mesi lui e 15 e 8 mesi lei comunicò alla signora Compagna in Caruso la decisione di separarsi e al più presto anche eventualmente di divorzio.
“ Ci hai l’amante? Mi pare giusto, ora si fici i picciuli, u signurinu, e pò pagare le buttane. Ti stuffasti dopo le nozze d’argento. I nozzi ri bronzo o cimitero ti faccio fare a tia e a quella signorina, forse sole dalle orecchie.
Dimmi cu è sta consuma casato e accomodo subito tutto io. Chi ti pari ca un matrimonio e ‘na passiata a Marina ca quando ti abbutta ti ni torni a casa.. Mai e poi mai avrai il assenzio. Tu sei mio e di nullo più. Unni vai vecchio con i capelli bianchi. Ma ta vistu o specchiu”.
Tutto questo senza che Giusy ne avesse capito niente. Le attenzioni di Pino Caruso erano molteplici: dal caffè, alle rose per l’ufficio al profumo Chanel n. 5 il giorno di San Giuseppe e dulcis in fundo, una collana di perle per festeggiare la patente conseguita dal Caruso.
Al quel punto Giuseppina Di Natale, detta Giusy, capì tutto e rifiutò la collana e rispose, dopo essere diventata di mille colori.
“ Guardi signor Caruso, che qui si studia per conseguire la patente, non per aprire una gioielleria.
Molto gentile a cortese lo è stato sempre, non guastiamo questo buon rapporto. Lei è coetaneo di mio padre e io tale l’ho sempre considerato. Forse abbiamo equivocato entrambi. I migliori auguri per la patente e per la 800 coupé che ha ordinato, ma Giusy Di Natale ha già il cuore impegnato”.
“ Senti ‘nuccintuzza dei mie stivali. Ti piaciva u cafè, i rosi, u profumu, picchì a collana no. Un fari come a chidda. Io sto lassando la moglie e l’attività pi tia e mi rispondi in questo modo. Che vuoi
L’appartamento affittato, la pelliccia di visone e macari un anello di brillanti. Tu devi essere mia. U capisti ah!” Per caso, nel corridoio papa Giovanni, che era venuto a prendere a nica Giuseppina ascoltò tutta la conversazione. Salutò cordialmente il signor Caruso e aiutò la sua nica ad abbassare le saracinesche.

Nel giornale del pomeriggio, nella pagina di cronaca locale.
Misteriosa aggressione al commerciante di abiti usati in via Sedie Volanti.
Il commerciante di roba usata, Giuseppe Caruso, è stato aggredito a calci e pugni da due energumeni. Dalle prime indagini sembra che ad prendersela con il commerciante siano stati un uomo robusto dall’apparente età di quarant’anni e un giovane di bassa statura e di età di circa venti anni. Dalle indagine degli inquirenti è emerso che il Caruso lavorasse in nero con l’importazione di mobili ,per gran parte camere da letto classiche e provenienti dalla Brianza. Per il momento nulla è ancora emerso di preciso, ma l’aggressione non dovrebbe riguardare il racket delle estorsioni. Ultimamente il Caruso aveva conseguito la patente di guida e comprato una 850 coupé e girava per il rione strombazzando con il clacson per attirare l’attenzione dei vicini.
L’ipotesi di eventuale tradimento o fatti riguardanti la vita privata del Caruso vengono esclusi dai carabinieri. Interrogata la moglie del Caruso, la signora ha dichiarato che con il marito spera di arrivare alle nozze d’oro e che mai al mondo è da prendere in considerazione l’ipotesi di tradimento.
Il signor Giuseppe Caruso, comunque, se la cavata con una decina di giorni di assoluto riposo.
Pietro Ciccarelli

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