22 Ott 2010

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A quattr’occhi coi protagonisti: incontro con Luca Scivoletto

A quattr’occhi coi protagonisti: incontro con Luca Scivoletto

Reduce dalla presentazione del Salina Doc Festival, (direzione artistica è affidata a Giovanna Taviani) all’interno del quale “Max” è stato presentato, Luca Scivoletto, giovane regista di origini modicane, accetta di sé e del periodo che il cinema italiano sta vivendo.

D: Luca, quando hai pensato seriamente di fare il regista?

R: Ho cominciato a fare i primi video all’età di 15-16 anni. A quell’età non volevo fare il regista, ma sperimentavo nuovi linguaggi come facevo soprattutto con la musica. La vera scelta, quella consapevole e definitiva, l’ho fatta dopo l’università.

D: Che legame hai con Modica?

R: Si tratta innanzitutto di un legame anagrafico perché sono nato e cresciuto qui. Le mie radici sono qui. Soffro un po’ la distanza ma non da un punto di vista nostalgico, ma più che altro perché è sempre difficile rapportarsi al proprio luogo d’origine cercando di essere sempre lucido, imparziale ed onesto nei confronti della propria città. Non mi va di tornare come il critico o come il nostalgico che ha bisogno di rinnovarsi attraverso la propria linfa vitale, piuttosto cerco di essere quanto più onesto e ironico nei confronti di Modica.

D: Come nasce “Max”?

R: Era una suggestione che mi accompagnava da diversi anni parallelamente a quello che è stato poi lo sviluppo turistico di Modica degli ultimi 15 anni legato alla cultura gastronomica e dolciaria che l’hanno trasformata. Appena Modica ha cominciato ad aprirsi verso l’esterno è accaduto un piccolo impazzimento collettivo: hanno cominciato a circolare guide dove il quartiere dove sono nato aveva preso un altro nome, gente che ormai parlava con finta cognizione di causa del palio di Modica, cose che sfioravano l’irrealtà creando una confusione fra realtà e funzione che mi ha fatto nascere l’idea di un personaggio modicano che si agganciasse alla vera essenza della città, quella popolare, la faccia meno presentabile.
Mister Max rappresentava secondo me questa voglia di rappresentare ironicamente la Modica che si mostrava come “nobile città”, con tanta retorica che mi irritava, ma che allo stesso tempo permetteva di prenderla un po’ in giro.
Credo che Max ricalcasse il legame più stretto con la vera realtà modicana: questa è stata la suggestione iniziale. Non ho subito cominciato a girare, riprendevo quando tornavo a Modica, ho preso quanto più possibile, immagini che sono state montate in circa 1 anno per ridurre circa 50 ore di riprese in 52 minuti.

D: E le musiche?

R: Trattandosi di un documentario su un cantante pensavo fosse stucchevole inserire solo canzoni di Max, anche perché a me interessava presentare Max come cantante ma come fenomeno. Partendo da questo presupposto le musiche servivano per sottolineare il tono del documentario fra tragicomico, il malinconico e l’ironico. La fortuna è che essendomi occupato io stesso sia della regia che delle musiche in fase di montaggio capivo cosa mi servivo, provavo, riprovavo, scrivevo, cambiavo senza perdere ulteriormente tempo.

D: Quale è la tua idea di Corto?

R: Finora ho fatto corti partendo dal principio che non mi piaceva l’idea del cortometraggio chiuso, legato al motto di spirito, al colpo di scena perché ritenevo che, seppure molto belli, fossero molto efficaci sul momento, ma morivano lì. Mi proponevo di portare una apertura ulteriore, come se fossero più frammenti di lungometraggi che non si esaurivano nella storia raccontata, ma che facessero immaginare cosa avveniva dopo i titoli di coda. Per questo mi sono sobbarcato temi impegnativi come in “Ieri” dove due giovani all’indomani della strage di piazza fontana si trovano a litigare sul cosa fare.

D: Hai trattato tematiche storico-sociali come gli anni di piombo in “Ieri”, l’inquinamento e l’industrializzazione in “A nord-est”, la diversità fra la Modica popolare e quella intellettuale. In che misura a tuo avviso il cinema può influire nella realtà quotidiana?

R: Non riesco a concepire un cinema che non si interroghi politicamente sulla realtà, nel senso di presa di responsabilità del regista nei confronti della realtà anche perché la gente che viene a vedere il tuo film si fa una sua opinione e creare opinioni a caso è quanto di più dannoso ci possa essere.

D: Quali sono le difficoltà che un esordiente regista può incontrare in Italia in questo momento storico?

R: Ci sono scarse risorse sia a livello privato che pubblico. L’esordiente è debole non solo rispetto al rapporto con i produttori che non lo considerano, aspettano che questi abbia almeno 30 anni prima di cominciare a parlare di un progetto, ma anche rispetto alla vecchia guardia. I vecchi registi, infatti, pur di fare il proprio film ti bloccano la strada perché sono chiusi nel loro mondo che proteggono in maniera molto severa. L’Italia ha molti potenziali esordienti, ma non ha Maestri. Tutti i registi più grandi fanno i loro interessi, usando gli esordienti solo per fare rumore, però alla fine non esiste un clima di solidarietà che penalizza un po’ tutti e soprattutto i più giovani.
Io ritengo che lo Stato debba intervenire economicamente nel cinema, ma che debba garantire i finanziamenti alle opere prime e seconde e al cinema di ricerca, quello sperimentale, quello veramente rischioso, ma più artistico e produttivo.
Siamo all’interno di un sistema economico che non agevola le nuove generazioni, ma è anche colpa dei giovani che non si fanno avanti con la giusta aggressività. La nuova generazione deve uccidere i padri, se non lo fa è un problema!

Angela Allegria
Ottobre 2010
In Il clandestino con permesso di soggiorno

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