13 Nov 2009

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Passeggiando per Catania: Via Crociferi

Passeggiando per Catania: Via Crociferi

Strada che incanta per la sua maestosità e per le bellezze artistiche che offre lungo il suo percorso.
Perla del barocco catanese, fonte ispiratrice di registi fra i quali Bolognini e Zeffirelli che vi ambientarono “Il bell’Antonio” e “Storia di una capinera”, avvolta da un alone di sacralità e di mistero, via Crociferi vede opere dei più significativi artisti del barocco siciliano quali gli Amato, il Vaccarini, il Battaglia, Fra’ Angelo Italia, il Di Benedetto che ne progettarono chiese e conventi. Parallela a via Etnea, l’arteria voluta dal vicario generale del val Demone Giuseppe Lanza, duca di Camastra dopo il terremoto del 1693, prende il nome dal convento dei padri Crociferi, unito alla chiesa di San Camillo.
L’accesso ufficiale è dalla scalinata di via Alessi restaurata nel 1969, per far giungere il visitatore innanzi alle chiese di San Benedetto e San Francesco Borgia, facendogli trattenere il fiato per la maestosità e l’incanto di queste opere d’arte.
Il percorso che propongo alla scoperta della via più bella di Catania parte però da piazza San Francesco d’Assisi al centro della quale spicca il monumento dedicato al Cardinale Dusmet e al suo impegno nella carità.
L’importanza di questa piazza, a confine con la parte ovest di via Vittorio Emanuele e l’arco di San Benedetto dalla quale parte via Crociferi, è collegata all’omonima chiesa dedicata appunto a San Francesco d’Assisi all’Immacolata, ricostruita dopo il terremoto, la quale presenta una facciata composta da due ordini, e due campanili paralleli.
L’interno è diviso in tre navate decorate coi colori bianco ed oro zecchino quella centrale, bianco, oro e azzurro, le due laterali, e terminanti con tre absidi, delle quali, quella centrale è decorata da Olivio Sozzi, che vi rappresentò le quattro virtù cardinali. La chiesa, oltre a custodire “La salita al Calvario” di Jacopo Vignerio, copia de “Lo spasimo di Sicilia” di Raffaello, datata 1541, custodisce l’organo dove si esercitava il piccolo Vincenzo Bellini. È possibile ammirare, inoltre, le candelore dei fiorai (in stile gotico veneziano), dei pizzicagnoli (in stile liberty), dei bettolari, dei pastai, dei fruttivendoli, dei macellai.
Al numero tre della piazza si trova palazzo Gravina Cruyllas, all’interno del quale nacque il 3 novembre 1801 Vincenzo Bellini e dove visse fino ai sedici anni, e nella quale furono ospiti Enrico d’Aragona nel 1453 e il viceré di Sicilia, Giovanni Vega, nel 1552.
Fondale perfetto della via Crociferi è l’arco che collega la badia grande di San Benedetto a quella piccola attribuita al Vaccarini: si tratta dell’unico arco esistente a Catania, detto anche della passerella di San Benedetto, che si dice costruito in una sola notte per volontà del vescovo della città e completato in tre anni.
Altra leggenda è legata all’arco, quella del cavallo senza testa, un fantasma che si aggirava per la via, ma che, come dicevano le malelingue, si vedeva in giro solamente quando, nel cuore della notte, dai conventi uscivano personaggi avvolti in mantelli o scialli che tenevano fra le braccia ben celato qualche neonato.
La chiesa di San Benedetto, ricostruita sopra le macerie della vecchia chiesa crollata interamente durante il terremoto del 1693 e costata la vita a ben 55 suore delle 60 presenti nella badia, ha una facciata di autore ignoto in pietra calcarea, composta nel primo ordine da semicolonne con capitello composito che reggono una trabeazione dentellata sulla quale si staglia il frontone spezzato che regge le allegorie della Fortezza e della Temperanza.
La piccola scalinata è chiusa da un’ampia cancellata (su cui sono posti i simboli della pax benedettina) dalla quale si affacciano le suore all’alba del 6 febbraio, per rendere omaggio a Sant’Agata con le loro angeliche voci e consegnare un mazzo di rose bianche alla Santa che viene scambiato con un altro mazzo di rose che proviene dal simulacro. Finito l’omaggio l’imponente portone ligneo raffigurante scene della vita di S. Benedetto, viene chiuso per essere riaperto solo l’anno dopo nella stessa data.
L’interno è costituito da un’unica navata con pavimento di marmi policromi, mentre l’altare maggiore è decorato con pietre preziose ed argento. Degna di nota la cantoria che si staglia con grazia ed armonia per celare i volti delle monache di clausura.
Fra la badia e la chiesa di San Francesco Borgia la via S. Benedetto conduce al Palazzo Asmundo, dalla facciata di pietra lavica con decorazioni in pietra calcarea e balcone unico incorniciato da un’inferriata panciuta.
La chiesa di San Francesco Borgia, dedicata al pronipote di Alessandro VI, eletto nel 1554 Generale della Compagnia di Gesù e in tutto diverso dal suo antenato tanto da essere dichiarato santo, fu ricostruita fra il 1698 ed il 1736 sulle fondamenta di una progettata da fra’ Angelo Italia precedentemente distrutta dal terremoto.
In essa, che si eleva su un’alta scalinata in pietra lavica a due braccia che la unisce al piano stradale, è avvenuto il battesimo di Vincenzo Bellini. Il prospetto bianco comprende due ordini: nel primo si inserisce il portone centrale, sul quale si adagia un timpano spezzato sorretto da due coppie di colonne scanalate con capitello composito, mentre ai lati si elevano verso l’altro altre due coppie di colonne tuscaniche, mentre nel secondo si può notare un’ampia finestra al centro, con timpano sorretto da lesene con capitello composito, e altre due coppie di colonne tuscaniche laterali, poste sopra le sottostanti, che sorreggono un’ampia trabeazione spezzata.
L’interno, a tre navate, contiene altari marmorei con pale di pittori catanesi del XVIII secolo, mentre la cupola è affrescata da Olivio Sozzi, che vi raffigurò temi legati all’ordine dei gesuiti.
Presso la chiesa dei gesuiti si svolsero le funzioni religiose allorché la cattedrale fu chiusa per i lavori di restauro del 1795. Questo evento infuse un alone di sacralità e di suggestione a tutta la via che si percepisce ancora oggi.
Accanto il convento dei gesuiti, oggi sede dell’istituto d’arte, è particolarmente importante per il chiostro dal pavimento policromo dato dai ciottoli di pece nera intervallati a tasselli di pietra calcarea e decorato con motivi floreali e geometrici. I due ordini del chiostro presentano motivi discordanti dati dal prolungarsi del tempo di costruzione dell’edificio: mentre nel primo gli archi a tutto sesto sono sorrette da colonne tuscaniche di stile cinquecentesco, il secondo vede un loggiato con archi ad inversione di curvatura sorretti da pilastri, di chiara matrice barocca.
Sul lato opposto, il destro di Via Crociferi, si incontrano il Palazzo Zappalà e subito dopo la chiesa di San Giuliano, attribuita al Vaccarini e datata fra il 1739 e il 1751, presenta una cancellata panciuta, che segue l’andamento della facciata convessa, sulla quale domina la scritta “DOM ET S. IULIANO SACRUM 1832” sorretta da due putti altezzosi che reggono i simboli ecclesiastici, la mitria ed il pastorale. Il breve sagrato è decorato da un tappeto di arabeschi in bianco e nero.
Anche le finestre sono chiuse da grate panciute, rifatte dopo il ventennio, durante il quale, le grate originarie finirono addirittura in California per ornare le ville di nababbi e dive del cinema. L’interno, con pianta ottagonale, riccamente decorato, contiene “La Madonna delle Grazie”, realizzata da Olivio Sozzi.
Da alcuni punti della strada e dal chiostro dell’ex monastero si può ammirare la cupola con la loggia esterna di coronamento dalla quale un tempo le monache di clausura seguivano il passaggio delle processioni sacre.
Il monastero è composto solo da due ordini, senza balcone centrale, contenente solo finestre. Il portone con arco a tutto sesto, sostenuto da due lesene con capitello tuscanico, è inquadrato in un rettangolo ai lati del quale si possono scorgere due fiori. Sopra la chiave dell’arco si nota uno stemma illeggibile sormontato da una corona, con sotto una maschera grottesca e ai lati delle foglie di acanto. All’interno il chiostro è circondato da un loggiato con archi a tutto sesto al centro del quale si presume ci fosse una fontana, oggi sostituita da un’aiuola di forma ottagonale.
Di fronte all’ex monastero sorgeva un giardino pensile, sostituito, in seguito, da un palazzotto. Alcuni ritengono che proprio all’angolo fra via Crociferi e via Sangiuliano sorgesse il tempio di Esculapio, mentre altri lo collocano all’angolo fra via Crociferi e via Vittorio Emanuele.
Superato l’incrocio, a destra due palazzi signorili: il palazzo Villaruel del Battaglia seguito dal palazzo Sturzo, che il proprietario blasonato, perse in una notte giocando a carte con il Duca di Misterbianco. Il palazzo fu ampliato fino al 1929 allorquando il duca di Misterbianco, chiese ed ottenne dal podestà l’autorizzazione per la “costruzione del 4° a secondo piano prospettante nella corte interna del palazzo di via Crociferi 56 consistenti essi lavori nella costruzione di n. 3 stanzette ed accessori”, come si legge nella richiesta approvata con parere favorevole della commissione edilizia n. 60 in seduta del 26/03/1929. In seguito, negli anni Cinquanta la residenza gentilizia è stata smembrata in più parti vendute singolarmente nuovo proprietario il quale aveva il vizio di non pagare i propri dipendenti.
Sulla sinistra, sorge il convento dei padri Crociferi e la chiesa di San Camillo.
I padri crociferi giunsero a Catania dopo il terremoto, stanziandosi nella via che ne prese in seguito il nome e nella quale cominciarono a costruire il monastero e la chiesa sin dai primi anni del Settecento, costruzione che si protrasse fino alla fine del secolo e vide l’opera di Domenico La Barbera a partire al 1723 e di Francesco Battaglia dal 1771 al 1788.
L’ingresso del convento è delimitato da due colonne tuscaniche che, poste sopra un alto basamento, sorreggono l’unico balcone presente nella facciata decorato da due lesene con capitello con volute avvolte verso l’interno e lo stemma raffigurante una croce dalla quale si sprigionano raggi di luce.
La chiesa ha una facciata concava con portone contornato da lesene. Nel secondo ordine una statua di San Camillo che guarda al cielo con un libro nella mano destra, mentre la sinistra si eleva nell’atto di invocare lo Spirito Santo. Ai suoi piedi un putto, grassoccio, accovacciato con la sinistra alzata e la destra fra la spalla sinistra ed il collo. In alto lo stesso stemma che si trova nel convento, ma con i raggi più sottili.
L’interno è di forma ovale e presenta numerosi dipinti fra i quali spicca al centro, una grande icona dai tratti bizantini raffigurante la Santa Vergine con il Bambino.
Chiude la via, in perfetta simmetria con l’arco di San Benedetto, il portale di villa Cerami, realizzato dal Vaccarini, con arco a tutto sesto bordato da due lesene con capitello ionico con volute verso l’interno e decorazioni fogliacee. La chiave dell’arco è accentuata da un capitello con conchiglia e rosa mentre sopra due galli, altezzosi, paralleli, si guardano. L’architrave ospita tre faccioni grotteschi con bocche spalancate, lo sguardo cupo e le sopracciglia aggrottate. Lo stemma dei Rosso di Cerami è sorretto da due putti e sormontato da una corona.
Dal portale si accede ad un vasto giardino con una scalinata marmorea che conduce all’ampia terrazza ed un piccola fontana ancora funzionante legata ad una leggenda metropolitana secondo la quale chi ne beve l’acqua non conseguirebbe la laurea.
L’interno della villa, sede della facoltà di Giurisprudenza, presenta una parte antica, le stanze di rappresentanza, della principessa, e la cappella, ed una parte moderna, i cui primi progetti furono realizzati dall’Ing. Prof. catanese Salvatore Boscarino.
Merita menzione la fontanella all’ingresso, appena fuori il portale: essa porta la scritta “PVBLICO NON A PVBLICO HIC PVBLICUS”, che indica che l’acqua veniva offerta dal principe Cerami ai cittadini attraverso un’opera realizzata in assenza di soldi pubblici.
Angela Allegria
13 ottobre 2009
In www.2duerighe.com

  1. Molto interessante, grazie per la possibilità di averne usufruito

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