1 Lug 2008

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Milano. Sbagliato prendere provvedimenti senza sentire il parere di tutte le parti interessate. Intervista al presidente di Associna, dr. Jianyi

Milano. Sbagliato prendere provvedimenti senza sentire il parere di tutte le parti interessate. Intervista al presidente di Associna, dr. Jianyi

Sono passati alcuni giorni dai fatti di via Sarpi a Milano. Cosa è cambiato? Cosa è avvenuto davvero? Interrogativi che possono trovare una risposta se ne parliamo con il Dott. Lin Jianyi, presidente di Associna. AssoCina è nata spontaneamente dall’incontro di un gruppo di ragazzi di seconde generazioni su internet. E’ un’associazione diversa da quelli già esistenti nella comunità cinese perchè rappresenta la realtà delle seconde generazioni, ovvero le persone che sono nate o cresciute in Italia.

Dott. Jianyi, qual è la situazione della comunità cinese a Milano?

L’immigrazione cinese a Milano è nata negli anni 20 con un lento arrivo di immigrati cinesi dalla Francia. I milanesi ricorderanno i venditori di cravatte a buon mercato. Era un arrivo col contagocce. Il flusso proveniente dalla Cina si era, invece, fermato con la II guerra mondiale e successivamente con l’ascesa del partito comunista fino alle politiche di apertura di Deng Xiaoping all’inizio degli anni 80.

Da lì, a partire dalla metà degli anni 80, in concomitanza con gli interventi di sanatoria del Governo italiano, abbiamo assistito all’immigrazione di massa dei cinesi, in particolare a Milano, Roma e Prato. Il numero di residenti cinesi a Milano raddoppiava ogni 4 anni. Le principali attività svolte dalla popolazione cinese erano ristorazione etnica, pelletteria e confezioni di abbigliamento (sparsi in tutta la città), e successivamente dalla metà degli anni 90 ha iniziato a fiorire nella zona Paolo Sarpi una serie di servizi legati al soddisfacimento dei bisogni degli immigrati cinesi stessi: alimentari (questi in realtà già prima in numero ridotto), parrucchieri, gioiellerie, immobiliari, etc.

Tutte queste attività non hanno creato veri problemi fino ai giorni d’oggi. Contro queste venivano infatti lamentate, da parte dell’associazione di quartiere ViviSarpi, la poca igiene in particolare per le strade, il traffico e il cattivo decoro di vetrine e negozi (questione di estetica praticamente). Insomma problemi di cui non erano esenti altre zone di Milano.
Non vi sono stati attriti seri e la presenza di una Chinatown è, tuttora, uno slogan più utile ai politici che la reale descrizione della zona. Lo dimostrano infatti i dati: la bassa percentuale – 10% – dei residenti cinesi rispetto al totale nel quartiere Paolo Sarpi. Sono dati facilmente reperibili.

Siamo quindi ben lontani dalle c.d. Chinatown che si trovano in altri paesi, USA in primis. È semmai vero che la maggior parte dei negozi sulla via Paolo Sarpi e le sue traverse sono diventati negozi cinesi.

I fatti accaduti in via Sarpi costituiscono la punta di un iceberg. Cosa c’è davvero sotto tali accadimenti?

Da quasi 10 anni a questa parte invece alcune vie trasversali di Paolo Sarpi sono diventate mete preferite per gli investitori in attività di ingrosso, si parla di Via Bramante e via Niccolini.
Se prima i negozi erogavano servizi e prodotti molto variegati, le due vie stavano diventando un “polo” commerciale di ingrossi: attrattiva per clienti che cercavano prodotti cinesi, e di conseguenza anche per gli imprenditori cinesi stessi. Le merci distribuite vanno dall’abbigliamento e calzature fino a oggettistica e prodotti per la casa, il tutto con caratteristiche di
vendita all’ingrosso. Chiaramente il luogo non è adatto per questo tipo di commercio. Le macchine non possono parcheggiare nei pressi per scaricare merci. Si fa quindi necessario l’uso di carrelli a mano per trasportare le merci dall’ingrosso alla macchina parcheggiata.
E da qui nasce la “guerra dei carrelli”. Il comune da ormai 2 mesi (sotto le pressioni dell’associazione ViviSarpi che ha un dialogo molto più facile col comune) ha infatti iniziato improvvisamente a prendere provvedimenti drastici per il controllo stradale del quartiere, multando i carrelli perché ritenuti ingombranti (alcune strade sono strette) e sanzionando sistematicamente i comportamenti legati alle attività d’ingrosso: parcheggi non consentiti in prossimità dell’ingrosso, uso di veicoli familiari per il trasporto di merci. Sembrerà comico, ma una pattuglia di vigili urbani ha multato anche una bicicletta che trasportava merce. Insomma siamo ben lontani dal vigile dello spot Cinghiale che consigliava: “Non ci vuole un pennello grande, ma un grande pennello”.
Inoltre è contemporaneamente entrato in vigore l’orario per carico e scarico di merci (fascia diurna 10.00-14.00), bloccando notevolmente le attività d’ingrosso. Una stretta di controlli anomala – pensano i cinesi – visto che lo stesso tipo di traffico si trova in altri punti della città, per esempio Buenos Aires. I cinesi hanno sentito questa pressione come un gesto discriminatorio da parte delle autorità, avvallato dalla percezione comune che lo stesso trattamento non viene riservato ai cittadini italiani in quelle vie. Per esempio la Scuola di giornalismo della Cattolica ha mostrato con un servizio questa condizione. In pratica il carrello trasportato dal giornalista italiano non veniva multato nemmeno passando davanti a varie pattuglie, mentre un italiano intervistato sul posto diceva di non avere alcun tipo di problema col carrello, fino a quando un vigile ferma il giornalista e spiega che deve fargli la multa, ma che avrebbe potuto chiudere un occhio in altri periodi con una situazione non tesa. Insomma le domande più ricorrenti tra i grossisti diventavano “Perché ci hanno dato le licenze per l’ingrosso e ora ci viene impedito di lavorare?” (le licenze sono state liberalizzate dagli anni 90), “Perché solo a noi le multe?”, “Perché proprio qui una morsa così severa e in altre zone di Milano no?”. È chiaro quindi che l’episodio della signora Bu Ruowei è stata solo una scintilla che ha fatto scoppiare un’atmosfera ormai tesa da lungo tempo. Naturalmente molti giornali, ignorando completamente la situazione pregressa, hanno intitolato rivolta scoppiata per una semplice multa, che – può immaginarsi – è invece assurdo.

Infine motivo scatenante per la rivolta è stata la notizia che la signora Bu è stata maltrattata dalle vigilesse (dalle ricostruzioni della polizia e quelle della sig.ra Bu, risulta concorde che la signora e il bimbo sono stati portati alla stazione di polizia). Ma sull’episodio in sè non mi soffermerei molto. Le versioni dei fatti sono abbastanza contrastanti, sia sui giornali italiani che quelli cinesi. Tocca alla magistratura fare luce sulla vicenda. Non fosse stato per questo episodio, sarebbe stato quello successivo. Non mi impunterei sulla loro diatriba in sè.

Quali interessi economici sono alla base dello spiazzamento dei negozi cinesi di via Sarpi?

Come già sottolineato fino agli anni 90 le attività erano abbastanza variegate. Solo da una decina di anni si è creato un polo commerciale di ingrossi, in una locazione che non è per niente adatta.
Qui va sottolineata la mancanza di un piano regolatore per dislocare questi ingrossi. Il comune ha permesso la proliferazione di così tanti grossisti in quella zona, attratti da un semplice interesse commerciale: sapendo che i clienti si riforniscono in quella zona, quale vantaggio ci sarebbe a piazzare la propria attività dall’altra parte di Milano? Sembra banale ma è un discorso puramente di economico. Ma d’altronde è il principio in piccolo che sta alla base dei poli commerciali e industriali. Interventi dal comune sono invece stati presi in altre zone dove vi erano interessi commerciali. L’esempio più rappresentativo è l’istituzione del Macrolotto alle porte di Prato, dove già da tempo si sono stanziate le attività di pronto moda. Va infine ricordato che la questione di Paolo Sarpi è da circoscrivere alle attività d’ingrosso. Seppur la partecipazione dei cinesi agli eventi sia stata massiccia, negozi al dettaglio e centri di servizi, ristoranti e altre attività variegate non rientrano nei motivi di scontro. Ancora più sbagliato sarebbe allargare il problema all’intera comunità cinese di Paolo Sarpi o di Milano.

Lei crede nell’emersione di un c.d. caso cinese?

È evidente che c’è un problema di ingrossi in Paolo Sarpi. Sono i media che ne allargano a dismisura il contesto facendo leva spesso su dicerie ormai confutate da studi seri, per esempio sui cinesi che non muoiono mai, o della triade mafiosa cinese. Per questi studi può far riferimento al prof. Daniele Cologna, uno dei massimi esperti sull’immigrazione cinese in Italia. In poche parole la leggenda dei defunti cinesi assolutamente introvabili è importata dalla Francia, e motivata da dati anagrafici; mentre la criminalità cinese – spesso microcriminalità – non è presente in forma organizzata o reticolare, ma si manifesta separatamente. Diciamo con convinzione che i cinesi, la stragrande maggioranza presi col proprio lavoro, non creano grossi problemi, né tantomeno alla popolazione locale. Basta vedere la presenza cinese nelle carceri italiane: gli stranieri rappresentano il 35% della popolazione carceraria, e di questi l’1,4% è cinese.
Va poi ricordato che contrariamente alla percezione comune, soprattutto in questi giorni, i cinesi rappresentano il 4° gruppo etnico immigrato. Naturalmente sono sensazioni indotte dal facile riconoscimento di una persona asiatica per i suoi tratti distintivi.

Sono stati presi provvedimenti da parte delle istituzione al fine di porre rimedio alla situazione creatasi?

Fondamentalmente sono mancati i dialoghi tra amministrazione e commercianti della zona, principalmente per la barriera linguistica che è un ostacolo enorme. Il fatto che si sia dovuto scomodare il console cinese – qui negli interessi economici milanesi le relazioni diplomatiche c’entrano poco – può dare l’idea di quanto la comunicazione tra le parti sia mancata.
Quello che è stato annunciato sono incontri di dialogo tra le varie parti: comune, associazioni dei commercianti, associazioni di quartiere, etc. Ma un provvedimento non è stato deciso e nemmeno pianificato, al limite sono stati ipotizzati interventi come la delocalizzazione in altre aree. Il problema più grande ritengo sia la mancanza di comunicazione, di dialogo. L’amministrazione sbaglia a prendere provvedimenti senza sentire il parere di tutte le parti interessate. Intanto il progetto della Zona a traffico limitato in Paolo Sarpi va avanti, e a luglio si passerà alla fase di zona pedonale.

Angela Allegria
29 aprile 2007

In www.7magazine.it

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