24 Giu 2010

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La vedova Pitarresi

“Sarta fine sono. Dopo la disgrazia di mio marito, non dico che i clienti l’assicutu, ma non mi veni voglia ri fari nenti. I picciuli di latu li ho messi e una pausa non mi fa male. E poi, senza il mio adorato Gino, un nummu finìu”.

Questo il primo impatto di Pietro Sanpietro con la nuova allieva, la vedova Pitarresi. Una quarantenne non certo bella, anzi si direbbe bruttina e di bassa statura. Per le lezioni di guida, la signora porterà con se di volta in volta dei preziosissimi cuscini di propria fattura, e per nessuna ragione mai in vendita. Era vedova da pochi mesi. Era stata sposata per vent’anni con il suo amato Gino. Il defunto si chiamava Luigi Pitarresi e lavorava al Teatro Massino. Così diceva la signora Brigida Alfano, sarta fine, con abitazione-sartoria in corso Vittorio Emanuele. In realtà il signor Pitarresi veniva di volta in volta ingaggiato come capoclac per le rappresentazioni e i concerti nel regno della lirica della città, il Teatro Massimo. Il resto della giornata Gino, acchittu, faceva la spola fra il bigliardo della Birreria Italia e il bigliardo Sala Italia in via Scarlatti, il più antico della città, fondato nel 1940  in piena Seconda guerra mondiale.

Era un vero campione di  boccette e i “polli” da spennare li trovava sempre. Ma la vera gallina dalle uova d’oro era, però, la signora Brigida Alfano, maritata Pitarresi. Il suo Gino, visto l’artistico e importante lavoro al Teatro Massimo, non poteva andare in giro con vestiti di cattiva fattura. E Gino, “rubava” un paio d’ore alla sua intensa giornata di lavoro, recandosi dal signor Lo Baido, sarto  per uomo, con laboratorio in via Napoli. Insomma, Gino Pitarresi amava Brigida Alfano e con il suo lavoro al Teatro Massimo campava la moglie o almeno questo era quello che faceva credere la signora Brigida. Ma solamente a chi non era della zona, perché, nel quartiere, tutti erano a conoscenza del meritorio e redditizio lavoro di Gino Pitarresi, cioè un fari nenti e giocare a boccette.

Alla coppia non erano arrivati  figli, anche se Gino si “sacrificava” per avere l’erede. Grande era l’amore del suo Gino: l’uomo più adorabile del mondo.

“Signor Sanpietro, le presento la signora Alfano, dovrebbe iniziare le lezioni di guida. Solo che c’è un problema: la signora ha difficoltà a venire fino a qui e lei dovrebbe andarla a prendere e lasciare  a casa sua, dopo, s’intende, avergli fatto un’ora di lezione. Per non perdere troppo tempo, il signor La Mantia ha detto che è meglio fargliene un’ora per recuperare il tempo perduto per andare e venire da  Piazza Marina.”

E cu è Proust, pensò Sanpietro.

“Giusy,  se La Mantia ha detto così, per me va bene.”

“Che orario le viene comodo signora Alfano”?

“Mi chiamo signora Pitarresi. Anche sei il mio Gino non c’è più, io mi faccio chiamare sempre signora Pitarresi. U sangu du me cori mi amava troppo e non posso tradirlo ora che è in paradiso.”

“Sarà come dice lei signora Alfano, ma io devo chiamarla così. Nel foglio rosa esce Brigida Alfano e così sarò costretto a chiamarla.”

“Signorina Giusy, non mi può cambiare istruttore? Questo ragazzo tutto barba, capelli spettinati e mal vestito, mi sembra pure presuntuoso e non intendo averci a che fare. Come si permette! Io mi chiamo signora Pitarresi e basta.”

“Non abbiamo scelta. E’ l’unico istruttore che abbiamo. Signor Piero, (e Giusy lanciò un sguardo d’intesa a Sanpietro) faccia un’eccezione. Se la signora vuole essere chiamata Pitarresi la chiami Pitarresi e faccia finta di niente.”

“Signora Pitarresi a che ora devo venire e mi dia l’indirizzo preciso”

“Alle 16,00 in Corso Vittorio Emanuele poco prima dell’Archivio di Stato. U sapi runni è”?

Per la buonanima, gran lavoratore, ci avesse voluto un posto all’Archivio. Due passi dalla Vucciria e la spesa, mischinu,  l’avrebbe fatto sempre lui. Poviru sangu ra me vita”.

Questa era la sorte di Pietro Sanpietro, o meglio la sorte di tutti gli istruttori. Per Sanpietro, una speranza c’era: un posticino di redattore al giornale del pomeriggio. Ma dove trovare l’onorevole giusto per la raccomandazione o segnalazione, come ipocritamente si usava dire.

“Signor Piero, la prego non mi faccia la prima lezione al Foro Italico. Quante passeggiate con il mio amato Gino e quante belle parole mi sussurrava. Era un vero artista. Lavorava al Teatro Massimo e sapeva le tutte parole della arie delle opere da Giacomo Puccini a  Giuseppe Verdi che era il suo preferito. La prego facciamo un’altra strada.”

“Va bene giriamo da Piazza Marina e poi risaliamo per Corso Emanuele dritto fino alla Cattedrale.”

“No, Piazza Marina no. Mio marito mi portava alla Villa Garibaldi a prendere il fresco. Quanti ricordi. E poi, che uomo! Sempre impeccabile: a doccia ogni mattina, sbarbato, pettinato, profumato e le scarpe ogni mattina lucidate da Giovanni, u lustrascarpi all’angolo di via del Parlamento.            Le camice le voleva stirate solo dalla sua Bibi, come mi chiamava lui. Nel suo armadio non ci doveva mettere mano nessuno, solo Bibi, la signora Pitarresi in persona”.

La pazienza ha un limite e a Sanpietro stava per saltare, quando arriva in soccorso un bellissima signora bionda. Poco più che trentenne, che di nome faceva Addolorata Garraffa, Dolores o a spagnoletta per il rione, ma come si dice a Palermo, un veru pezzu di sti…

“Signora Brigida, mi che tisa. Pari ca s’agghiuttì un vastuni ri scupa! Si firmassi”.

E giù una inaspettata frenata di bottò che sorprese Sanpietro che solo per quella fortuna che aiuta sempre gli audaci (e anche gli istruttori) non andò a sbattere la testa sul parabrezza.

“Che fa? Si sta pigliando la  patente? E bene fa. Dopo dipartita del signor Gino, paci all’arma sua, un po’ di svago ci vuole. Povero Gino, che persona per i beni e poi quanto ci voleva beni. Mi raccontava sempre di lei, quando ci incontravamo a Vucciria, per la  spesa. Mischinu chi morti chi fici: infarto furminante con icsi. Quanto durò a Filiciuzza? Una settimana e manco. Cinque mottate, ci fici pure io. Troppo lavoro. Le notti all’Opera e di giorno a darisi da fari .Non voleva essere di peso alla sarta. Oh, mi scusi, signora Brigida Alfano fu Pitarresi. Mischinu, mischinu, mischinu.!! Ni lassò vuoto incolmabili.”

“Ma tutta sta confidenza a chista chi gliela mai data. Gino la spesa alla Vucciria? Ci entrava solo per comprare le Malboro di contrabbando. Troppo fine il mio Gino per portare i coppi ra spisa, mischinu”. Pensò, fra se, la signora Brigida.

“Signora  Pitarresi, mi dispiaci ma l’ora di lezione è finita. Fra cordogli, condoglianze, lacrime e pianti fra vicini di casa: l’ora è finita e io muoio disperato, svanì per sempre il sogno mio d’amor, diceva Cavaradossi nella Tosca di Giacomo Puccini.

La prossima lezione mi attende un più modesto aspirante cantante melodico napoletano di Palermo: Giovanni Galluzzo, in arte Gianni Gallo.”

Passarono un paio di settimana, senza che la signora Alfano o – se preferite- Pitarresi, come voleva essere chiamata, facesse progressi. Si era arrivati alla decima lezione e Sanpietro, non sapeva a che santo votarsi, pardon, quali vie alternative prendere. Ogni angolo del rione da Piazza Marina a San Erasmo per non parlare di via Butera, via Lincoln e Piazza Magione era un continuo dispiegarsi  di ricordi, di avvenimenti felici  del riuscitissimo matrimonio Pitarresi-Alfano. Gino era un santo, una persona unica, un angelo caduto da cielo. L’unico vizio: il fumo. Insomma, dopo più di un mese la signora Alfano- Pitarresi, o viceversa, ancora non era riuscita a inserire la terza marcia e non aveva imparato la posizione della leva delle “frecce”. E poi le manovre: inversione di marcia e retromarcia. Serviva un cuscino, che la signora si portava appositamente dalla sartoria. Ma quanti ne aveva? Ogni giorno uno diverso. Troppo bassa di statura per vedere l’angolo del marciapiede. “Da quale lato si sterza, quando si fa la marcia indietro”?

Domandava sempre la Alfano e Sanpietro a spiegare e rispiegare senza mai ottenere alcun risultato tangibile. Sanpietro si arrese e rinunziò di fare lezione alla vedova.

“Per carità, Piero, la Alfano è una miniera- rispose La Mantia, la patente è già mia-. Ti prego, non l’abbandonarla. Vuol dire che ti darò 500 lire all’ora. Ti va”?

Buon giorno. E’ questa l’autoscuola La Mantia? Mi chiamo Aida Pitarresi. Mi dovessi prendere la patente della macchina.”

“ Ma guarda che coincidenza, abbiamo un’altra Pitarresi come allieva. Ma non può essere sua parente. Abita in Corso Vittorio Emanuele.”

“Cu a sarta?”

“Perché la conosce?” – disse Giusy.

“Certo, quel metro e venti ri fimmina. Brutta come il diavolo. E poi malucarattiri e ca si senti tutta”.

Così si presentò Aida Pitarresi, figlia di Addolorata Garraffa, detta Dolores, e nata dalla relazione extra coniugale con Luigi Pitarresi, che, da signore quale era, aveva fatto il suo dovere, riconoscendola all’anagrafe e dandole il proprio cognome. Aida era una stampa al padre, solo i capelli erano biondi e ondulati come quelli della madre. La ragazza stava con la madre in via Chiavettieri  e quasi tutti i pomeriggi si era abituata alla presenza di zio Gino. Appena compiuti i diciotto anni la signora Ninfa svelò tutto alla ragazza, che essendo sveglia di cervello e cresciuta praticamente alla “Vucciria”, aveva capito da un bel pezzo che lo zio Gino, non era proprio lo zio.

Aida Pitarresi, passò sotto le mani del Sanpietro, detto signor Piero. Come sempre Sanpietro soffriva le pene dell’inferno quando gli si sedeva accanto una bella ragazza, ma aveva fatto il giuramento di Ippocrate (no, quello è dei medici), al massimo per gli istruttori di guida si può parlare di codice deontologico.

“Deonto che”? -chiese una volta il signor La Mantia, che aveva appena la terza avviamento e di paroloni ne conosceva poche.

“Codice deontologico, come quello degli avvocati e dei giornalisti. Significa, un comportamento serio e consono alla professione che si svolge”.  Si affrettò a spiegare il signor Piero.

“Ma quali. Come te lo devo dire. Po futteri quanto vuoi, però, dopo che la signora o signorina in questione si è presa la patente e non è più iscritta all’autoscuola”.

Si accese una grande simpatia (amore o sesso?) fra Aida e il signor Pietro Sanpietro. Mai cognome fu più appropriato, che di pazienza ne aveva da vendere e santa, come è proverbiale dire per i santi. La ragazza era di quelle che fanno venire l’appetito anche a sazi. Insomma, un pezzo di cassata siciliana che a fine pranzo natalizio non si rifiuta mai. Ecco Aida era il dolce a fine pranzo, o meglio e lasciando da parte la metafora, era un gran pezzo di fi…, o come si usa dire a Roccaportello, un gran pizzu di cutina, o più sicilianamente, fimmina di lettu.

Il signor Piero, da vero signore, manifestò il suo interesse per l’allieva ed espose il suo pensiero ad Aida. Apriti cielo… la reazione della Pitarresi fu immediata e spontanea, come era abituata a fare.

“E io dovessi aspettare tutto questo tempo, mio caro Piero. Io il sangue caldo, come mia madre e mio padre ho. Dopo che mi ho preso a machina a te sto pensando”.

Aida Pitarresi e Pietro Sanpietro si facevano davvero sangu. E la lezione di guida finiva sempre a sciarra per via della poca pazienza di Aida che non voleva aspettare e la troppa di Piero e il suo codice deontologico sempre spiattellato ad Aida.

Intanto la vedova Pitarresi andava per le lunghe e dopo trenta lezioni aveva finalmente imparato a inserire in maniera corretta la leva delle frecce. Per l’innesto della terza c’era ancora tempo.

Passarono quasi cinque mesi dall’iscrizione all’Autoscuola La Mantia, la patente è già mia. L’Aida aveva superato brillantemente l’esame di guida e non si era vista più. I codici in genere servono per regolare la vita sociale di una comunità, sia essa tribale o che  evoluta. Stu codice deontologico ad Aida risultò incomprensibile e a Sanpietro, che lo rispettava alla lettera, rimase soltanto la soddisfazione di averlo compreso. Aida altra occasione mancata… Ormai anche negli anni Sessanta di corretto restava soltanto il caffè e quel minchione di Sanpietro, come ebbe a dire Totò La Mantia.

Ma cu u Pitarresi, fimminaru comu a chistu picca ne ho visti. Murìu nu negghiu. A cavaddu. Cu a  Dolores a spagnuletta  l’infartu e icsi un tu leva nuddu e a figlia d’iddri e due ancora chiu sessuolaga”.

Questo il tono all’incirca il tono della conversazione riferita da Serafina Di Marco, lavorante fine nella bottega della signora Pitaressi all’apprendista, ma aveva 25 anni, solo che ancora, per motivi fiscali era inquadrata ancora come tale, a Maria Lo Nigro, altra lavorante.

“ Tu giurù, proprio 5 minuti fa. Il tempo di fare la spesa e dal du gran vastasi e purcu di Ciuccu u scaluraru, parlava acchissì del povero signor Luigi, pace all’anima sua”.

“E tu niente hai risposto a questa infamità?”

“Resti fra noi Maria. A povera signora Brigida, un sulu u campava, ma pure le corna gli faceva, mischina”.

“Signora, signora. Si svegli è tutto finito. Il dottor Lo Presti, del Pronto Soccorso di via Roma sono.

Ha solo accusato un lieve malore, ma ora sta meglio e fra un paio d’ore se ne torna a casa. Come si sente?”

“E come mi devo sentire. Come a chiddu”.

La Alfano-Pitarresi venne dimessa intorno alle 20 e non dormi tutta la notte. La notte porta consiglio, almeno una volta era così, e per Brigida, signora per i beni e all’antica, no fu facile digerire quest’ultima eredità del povero Gino.

Arrivò alle 6 del mattino e giunse finalmente a una  conclusione. Brigida Pitarresi, come teneva a farsi chiamare, alle 8 del mattino, morta di sonno, ma felice della conclusione a cui era arrivata si recò nella vicina caserma.

“Voglio conoscere la signorina Aida Pitarresi a figlia di dru gran cor…, di mio marito. Ragione appi. Io figli non ne poteva avere e lui l’appi con la signora Dolores- disse decisa al maresciallo Randazzo- Buono fici. Mi costò tanto quest’amore per il mio Luigi e non mi interessa delle corna.

Picchì murì. Picchì non andava più a lavorare al Teatro Massimo. Sapi maresciallo, era organizzatore degli applausometri, 50 mila lire a serata guadagnava a ogni rappresentazione. Voglio conoscere Aida, a figlia di mio marito.

Vedova sì. Ma nessuno si deve permettere di parlare male di Addolorata Garraffa e di Aida Pitarresi. Ospiti a me casa permanentemente li voglio. Sono sola al mondo e da ora e questi saranno  i mie parenti. Abitano a via Chiavettieri, incarichi quarcuno che li voglio a casa mia nel mio stato di famiglia. Tutte e due adottate. Mi troverò così due figlie tutte assieme. E Gino da la sopra mi manderà benedizioni”.

Così il brigadiere Generoso Tessarin si recò in casa Garraffa. Lui non aveva fatto il giuramento di Ippocrate e dopo otto mesi convolò a giuste nozze con Aida Pitarresi, per la gioia della signora Brigida che stava assaporando la gioia di diventare nomma.

Passarono sette mesi e della signora Brigida Pitarresi all’autoscuola nessuna traccia.

“Signor La Mantia, che facciamo rintracciamo la Pitarresi- disse Giusy, la bona.

“Piero tu che ne pensi. Vi sono buone possibilità che la signora Alfano impari a guidare?”

“Ma chi la Pitarresi, ma manco se gli faccio 24 ore di lezione al giorno, compreso il supplemento domenicale e le ferie, riuscirà a mettere la terza”.

“Meglio così. Io dico che ci possiamo accontentare: ventimila lire di foglio rosa e settanta di lezioni di guida possono bastare. Un pezzetto d’ovetto d’oro della gallina, pardon, della  signora Pitarresi ce lo siamo sucato pure noi, fresco di giornata naturalmente”.

Pietro Ciccarelli

  1. A very good editorial.

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