5 Mag 2021

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Marianna Ciccone, la tigre di Noto, nelle parole di Simona Lo Iacono

Marianna Ciccone, la tigre di Noto, nelle parole di Simona Lo Iacono

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Una donna dimenticata, intelligente, acuta, determinata e curiosa, istruita, affamata di conoscenza e di amore per il sapere, una donna in senso lato, precursore dei tempi, appassionata ricercatrice, uno spirito indomito che non si è mai piegata al ruolo che il tempo, le tradizioni, il contesto di una Sicilia nella quale le donne erano viste solo come figlie e come madri, le avrebbero voluto riservare: questo e molto altro è stata Anna Maria Cicconi.

Marianna, come veniva chiamata, era nata a Noto nel 1891 all’interno di una famiglia benestante: la madre, una nobile priva di sostanze, aveva sposato un ricco uomo d’affari che anche dopo la seconda guerra mondiale aveva voglia di “VIVERE” e voleva farlo a modo suo. Questa storia affascinante viene raccontata da Simona Lo Iacono nel suo ultimo libro “La tigre di Noto” (Neri Pozza, aprile 2021), con garbo, con maestria, con la delicatezza di chi sa che sta entrando nella vita di un’altra persona e che per farlo va in punta di piedi.

La Lo Iacono, non nuova a questo genere di romanzi (si pensi a L’Albatro), sceglie bene le parole da usare, le pondera, le tasta, le pesa e in tal modo offre al lettore pagine scorrevoli e intense, dallo stile ricercato eppure aperto ad indagare un personaggio, una donna tanto grande quanto dimenticata. Perché Marianna Ciccone sia stata dimenticata per tanti anni? Probabilmente soltanto perché donna, e una donna che pensa con la propria testa, che lotta e combatte per ottenere ciò che vuole costituisce ancora oggi un peso difficile da gestire per la società, proprio perché si tratta di una donna che non può essere dominata, piegata.

Non lo è stata quando ha scelto di andare a studiare all’Istituto tecnico “Archimede” di Modica dopo aver ottenuto il diploma magistrale, non lo è stata ancora di più quando è partita per Roma con le sue poche cose per andare all’Università e poi a Pisa dove ha conseguito due lauree: prima in Matematica e poi in Fisica, neppure quando a Darmstadt, in Germania, ha partecipato ad un progetto di ricerca collaborando con Gerhard Herzberg, futuro premio Nobel per la chimica e al quale fu intitolato un asteroide, il 3316 Herzberg, ne quando, tra il 1953 e il 1954, trascorse un periodo di ricerca a Parigi presso il Laboratorio di Fisica atomica e nucleare del Collège de France.

Nonostante le sue ricerche, nonostante avesse messo in salvo parecchi volumi appartenenti al patrimonio culturale ebraico presenti presso l’Istituto di Fisica della Normale di Pisa, mettendo a repentaglio la sua stessa vita, nonostante le sue indiscusse capacità scientifiche, nonostante due abilitazioni a due concorsi per professore ordinario, a Marianna Ciccone mai fu assegnata alcuna cattedra perché donna. Eppure non per questo rinunciò all’insegnamento, non abbandonò i suoi studenti, fino a quando, per limiti d’età, a settant’anni, fu collocata in quiescenza.

La sua storia ha dell’incredibile: la tenacia con la quale è stata vissuta e raccontata dall’autrice fa pensare a diversi punti in comune tra queste due grandi donne accomunate dalla passione per il sapere, per la conoscenza, dalla determinazione, dal coraggio di perseguire le proprie scelte, dal loro voler portare il loro “essere donna” all’interno di ambiti che per tradizione si intendevano interamente maschili. Il mondo della scienza per la Ciccone, quello giuridico per la Lo Iacono: eppure è proprio la loro grande sensibilità a rendere ciò che hanno fatto e continuano a svolgere differente.

Salvare il sapere: questo compito viene descritto come “croci su tumuli di un camposanto, lapidi su cui far ardere i lumini. Anche se ti spiegavo che stavamo scavando fosse non per i morti, ma per i vivi. Cioè per i libri”. Il testo è una lunga lettera che l’autrice immagina sia stata scritta dalla Ciccone che si rivolge ad ogni lettore, anche se, nel prosieguo della lettura, vediamo che è destinato in realtà ad una figura ben precisa, colei che lei ha salvato e dalla quale è stata salvata: “Sei solo tu, la mia bambina portata in gestazione da un corpo che è quello della Storia”.

Una madre che ha disconosciuto la figlia facendo girare tutti i ritratti e togliendo le sue foto dall’album di famiglia perché aveva osato studiare, andare all’Università, luogo dove andavano solo le poco di buono, un’altra madre, Rosa, che le voleva bene, la seguiva pur non capendo i suoi ragionamenti, ma comprendendo appieno i suoi sentimenti e le sue aspirazioni, un’altra, Marianna, che teneva la mano della figlia, rispettando il suo passo, non lasciandola mai indietro.

Il testo è suscettibile di diverse letture, tutte egualmente meritevoli di essere approfondite, tutte accomunate da quell’unicum che una donna straordinaria come Marianna Ciccone, la tigre di Noto, è stata.

Angela Allegria

5 maggio 2021

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