23 Gen 2011

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Il pennello a servizio della legalità

Il pennello a servizio della legalità

Carica emotiva, pathos, tinte intense, i colori della vita che gridano il dolore per la morte di Emanuele Basile il cui nome, scritto a caratteri chiari ferma l’osservatore mettendolo innanzi alla tragicità di una morte violenta. Per chi non conoscesse Emanuele Basile i riferimenti sono netti: la feluca di carabiniere, la data, a destra, sistemata come un numero civico, lo sfondo diviso a metà, azzurro alle spalle della donna siciliana dai capelli corvini ed il vestito nero, con le mani che si avvicinano alla bocca in una tensione sempre crescente. È un attimo, le lacrime non scendono ancora, eppure, nella catarsi di quell’istante, sicuramente l’attimo in cui si è appresa la notizia, si percepisce appieno la drammaticità di una tragedia umana prima ancora che dello Stato. L’altra metà dello sfondo è fatta da colori che dall’azzurro tendono al blu e poi al bianco in un contrasto cromatico, miscuglio di forme e colori che caricano di emotività la tela.

Questa la prima opera che si è potuta ammirare a Modica, all’interno della mostra di Gaetano Porcasi, tenutasi dal 3 dicembre al 6 gennaio all’interno di Palazzo Grimaldi.

Guardando le sue opere si percepisce subito che siamo innanzi ad una pittura diversa, carica di emozioni e di colori, volta ad esprimere visivamente il concetto di legalità, e a raccontare una parte della storia della Sicilia e dell’Italia attraverso la drammaticità degli eventi, partendo da Portella della Ginestra, la prima strage di Stato, origine di tutto.

Il titolo della mostra, “La magia della pittura e la crescita sociale” non lascia dubbi sull’attività di Porcasi, pittore sociale, il quale ha messo il suo pennello a servizio dell’antimafia.

Proseguendo il percorso ci si accorge come opere diverse sia nello stile che nelle tematiche sono accostate in modo ordinato ma tendenzioso, proprio per rendere omaggio ad una terra bellissima, la Sicilia, ma che riesce ad essere anche violenta. Bellezza e morte si abbracciano in una celebrazione del vero, all’interno di un cerchio che si conclude con la morte di Mario D’Aleo, capitano dei Carabinieri, avvenuta nel 1983, stesso anno della morte di Basile. Questa volta la carica emotiva è diversa, l’impatto forte è stato provocato nell’osservatore i cui occhi hanno visto Paolo Borsellino rappresentato tramite i simboli del personaggio (la toga nera presagio di morte macchiata a tratti dal sangue innocente del giudice e degli uomini della sua scorta, la data, il nome, l’agenda rossa, la clessidra, l’aquila e la scritta “La Giustizia è amministrata nel nome del popolo”), gli occhi indagatori di Leonardo Sciascia il quale col suo sguardo acuto, l’amaro sorriso e la gestualità delle mani riesce a cogliere i segreti della Sicilia rappresentati dalle donne vigili e diffidenti che dall’interno di un uscio guardano fuori attraverso una vetriata chiusa, l’arresto di Provenzano, raccontato con i titoli dei giornali, ma anche i barconi dei migranti dai volti indistinti sopra i quali si percepiscono solo due occhi di un bimbo e le labbra lamentose di una madre, i balconi dai mensoloni barocchi, le arance succose, i fichi d’india le cui spine sembrano emergere dalla tela e far allungare la mano ad un bambino curioso, l’omaggio a Modica tramite l’orologio del  castello che in uno scorcio particolare protende verso il cielo.

Le opere descrittive sono di diverso calibro rispetto a quelle che raccontano le morti di stampo mafioso, in esse il disegno è più lineare, più composto, ma si sente sempre la carica emotiva che descrive il nostro essere siciliani, la passionalità dei gesti, il calore umano, la pacatezza, la tranquillità apparente che cela il fuoco che bolle dentro.

Dopo aver vissuto ciò un senso di amara sconfitta, ma altresì la voglia di lottare si nota nell’ultima tela, dove il dolore diventa dell’intero Stato, mostrato tramite i carabinieri sui cui volti scorre una lacrima, ma che mostrano anche la necessità di non arrendersi, di continuare a perseguire fino in fondo, da rappresentanti dello Stato ma anche e soprattutto da uomini, il proprio dovere.

Angela Allegria
Gennaio 2011
In Il clandestino con permesso di soggiorno

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