9 Giu 2008

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Adolescenti violenti: intevista al Dr. Carlo Cerracchio, presidente dell’AIPEP

Gli ultimi fatti di cronaca mostrano sempre più frequentemente l’uso della violenza fra adolescenti. Essi, infatti, presentano ragazzini che picchiano un ragazzo down, adolescenti intenti a violentare una loro coetanea: la lista è abbastanza lunga.
Spesso tali violenze vengono scoperte da filmati che girano su internet, filmati amatoriali, girati con i videofonini dagli autori stessi.
Ma quali sono le ragioni, i motivi che spingono gli adolescenti a dar vita a tali mostruosità?
Cosa li rende tanto sicuri da potersi “vantare” delle azioni commesse?
Per rispondere a tali domande abbiamo chiesto aiuto al Dott. Carlo Cerracchio, psicologo e psicoterapeuta, Presidente AIPEP – Associazione Italiana Psicologia e Psicoterapia Onlus.

Alla luce degli ultimi fatti di cronaca, secondo Lei, qual’è il fattore scatenante che induce gli adolescenti ad essere violenti?

Conosco abbastanza bene il mondo dei media per non fidarmi troppo degli “ultimi fatti di cronaca”, nel senso che purtroppo esiste un meccanismo perverso che trova interesse quasi esclusivamente voyeuristico in situazioni estreme portate alla luce come esempi generalizzati. Questo significa che sovente non si riesce a vedere fenomeni di realtà importanti se non nel momento in cui questi assumono carattere di “notizia”, per qualche episodio che scatena l’interesse momentaneo e parziale, e per questo assolutamente inutile.
Ma questa non è solamente una critica ai media, in quanto siamo tutti coinvolti nella lettura a margine della realtà. Come fruitori d’informazione siamo sempre più pigri e superficiali, ci accontentiamo della realtà semplificata ed edulcorata che ci arriva comodamente da giornali e TV. Come “specialisti” ci lasciamo spesso sedurre da qualche comparsata, che ci lustra il nome e l’aurea sbiadita, in un mondo sempre a caccia di palcoscenico e sempre meno attento a quello che scorre nella vita di tutti i giorni.
Questo non vuol dire che il fenomeno della violenza non esista, anzi, viviamo a stretto contatto con essa, ce ne nutriamo abbondantemente da mane a sera, facendola diventare, la violenza e l’aggressività, un metodo comune di relazione con l’altro da noi, e quindi con noi stessi.
Perchè i giovani sono violenti? Siamo sicuri che vogliamo veramente saperlo?
Siamo in grado di accettare tutto quello che ne consegue?
Perchè sono violenti? Perchè mimano la realtà che gli è intorno, come è logico che sia.
Ma ci chiediamo perchè sono così ignoranti, bacchettoni, incapaci di qualsiasi azione di rivalsa e contrasto verso i genitori, a loro volta assurdamente immemori delle loro critiche vicende adolescenziali, e stupidamente soddisfatti della pericolosissima tregua generazionale.
Io francamente mi spavento più dell’incapacità dei giovani di essere giovani, cioè di fare la loro necessaria rivoluzione etica e culturale, che della loro disperata violenza, che forse ne consegue.
Forse odiamo i giovani così tanto da averne castrato ogni valenza critica, liberatoria ed innovatrice, pericolosissima per la civiltà del fondamentalismo economico occidentale.

Il gruppo “incoraggia” la violenza?

È noto che i fenomeni di gruppo limano le posizioni individuali e creano presupposti di azione collettiva in grado di scatenare con maggiore facilità violenza ed aggressione. Ma, se questo è vero come fenomeno naturale della condizione sociale umana, meno rassicurante è la capacità attuale dei fenomeni di massa di coinvolgere e sovrastare completamente le coscienze individuali. Viviamo forse sempre di più nell’ipotesi frommiana di una società iperconformista e massificata, dove l’interesse per l’individuo soccombe verso la realizzazione della perfetta soggettività consumistica, acritica e disciplinata ai voleri della pubblicità e dei grandi interessi economici.

Perchè a suo avviso gli adolescenti filmano col telefonino gli atti violenti da loro compiuti ai danni di vittime indifese?

Perchè fanno la loro televisione, mimano quella vera. Vogliono esprimere bisogno di potere, di forza vigliacca contro i fragili, quello che la nostra civiltà premia. E, in quanto castrati della loro funzione critica, sono incapaci di rigettare i valori dominanti, assumendoli come propri. Le aggressioni verso i deboli mostrate tutti giorni dalla tivvù, vittime indifese appunto, che siano arabi colpevoli di petrolio, di miserabili in cerca di fortuna nella civiltà dell’oro, sono, nel mondo degli adulti, giustificate, rese opportune e necessarie dagli interessi della nostra santa democrazia.
Il vincitore, nella nostra disperata cultura, è colui che porta avanti i propri egoistici interessi, che si rende insensibile ai bisogni degli altri e che domina e nega ogni sofferenza e condizione d’inferiorità.
È il delirio scatenato dalla psicopatologia del potere, fenomeno epocale di ipertrofia delle funzioni egocentriche ed aggressive, che osanna l’onnipotenza del se grandioso, struttura psichica delle prima fasi evolutive, che maschera l’insufficienza propria della condizione infantile con la realizzazione fantastica di un potere personale assoluto aggressivo e non relazionale.
Questo potere, infantile, incongruo con le necessità sociali della nostra specie, proiettato su figure potenti dell’economia e della politica e dello spettacolo, uniche fonti di soddisfazione istintuale e pertanto acriticamente idolatrate per divenirne immagine e somiglianza, è sintomo e grave condizione di una società involutiva, disturbata ed incline alla catastrofe psichica e sociale.

Cosa propone dal punto di vista terapeutico per arginare il fenomeno?

Assolutamente nulla, in quanto intervento specifico. Sono certo che compariranno a breve illustri colleghi pronti alla somministrazione di panacee psicofarmaceutiche per la cura della nuova “sindrome da aggressività videofoninica”. Ci basta la malaugurata vicenda del Ritalin e della “sindrome da iperattività”, per essere sconfortati a sufficienza dalle risposte terapeutiche ai disagi psicologici dei giovani. Diversa, complessa e probabilmente utile, sarebbe un’azione condotta a livello globale, per esempio nelle scuole, ma anche nelle famiglie, per aiutare i giovani ad esprimere in maniera evolutiva il proprio inevitabile disagio. Ricordiamoci che la violenza e l’aggressività sono segnali di sofferenza rigettata all’esterno, di incapacità di assorbire le violenze subite, e che in ogni vittima si sta producendo un plausibile carnefice.

In che modo si dovrebbe cercare di “recuperare” gli autori di tali misfatti?

Gli autori e soprattutto le vittime. Questo è un problema delicato. Credo che per ogni situazione di disagio personale debba prevedersi una risposta che tenga conto della storia e condizione individuale. Per il recupero di una sofferenza abbiamo però bisogno che questa sia in qualche modo sentita dall’interessato. Questo forse è il più grosso problema.

Angela Allegria

26 novembre 2006

www.7magazine.it

  1. Bellissima intervista 🙂

  2. angelaallegria says:

    Ha ragione Professore, il merito è suo!

  3. Doc. Edo says:

    Ottima intervista e illuminanti le teorie esposte dal Dott. Cerracchio. Fatta la giustissima diagnosi, quali metodi dovrebbe adottare la società per contrastare queste nuove ideologie e quali suggerimenti per le famiglie che desidererebbero educare i propri figli verso un ideale di solidarietà sociale che, a mio parere, potrebbe essere l’unica soluzione per superare questa figura di uomo ripiegato su se stesso, intento a rimirare il proprio ombelico?

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